Don Giuseppe “Peppe” Leo, sacerdote salesiano, originario della provincia di Frosinone, da oltre 40 anni missionario in Centro America, ha vissuto il suo servizio verso i più piccoli e più poveri del Nicaragua, di Panama, dell'Honduras …

Oggi, a 72 anni compiuti, continua la sua missione a San Pedro Carchà, un comune del Guatemala facente parte del dipartimento di Alta Verapaz, a poca distanza dalla città di Coban. Si tratta di una zona montuosa, all’interno della foresta tropicale, dove ai Salesiani è stata affidata una parrocchia che comprende 424 villaggi e comunità con oltre 120.000 abitanti.

Don Peppe, di passaggio in Italia per una visita ai familiari e per qualche giorno di riposo, è venuto a trovarci e a raccontarci la sua esperienza quotidiana.

«La nostra Comunità Salesiana è composta da 5 sacerdoti e ciascuno di noi ha la responsabilità e la cura di una vasta zona che comprende più di 80 villaggi con oltre 20.000 persone circa. Quando va bene, riusciamo a visitare di persona ciascun villaggio almeno 2 o 3 volte all’anno. Per questo motivo, e per garantire un reale collegamento con ciascuna comunità locale, ogni zona è stata organizzata con un consiglio direttivo, che a sua volta fa riferimento ad altri coordinamenti locali, nei quali i volontari svolgono il difficile compito di rappresentanza, collegamento e informazione. In ogni consiglio ci sono dei responsabili per i vari ambiti della vita parrocchiale (catechesi, sacramenti, …), per la dimensione educativa e formativa della gioventù e per le necessità sociali ed economiche di ciascun villaggio.

Malgrado le grandi ricchezze naturali e culturali, il Guatemala è un paese povero: l’eredità coloniale fa sì che le condizioni e le opportunità di sviluppo siano del tutto squilibrate e ineguali, favorendo la concentrazione di grandi ricchezze in poche mani (più del 60% delle entrate nazionali si concentra nelle mani del 20 % della popolazione più ricca). Di conseguenza, il 60% degli abitanti vive in povertà e tra i gruppi indigeni raggiunge la percentuale del 79% (dei quali il 40% in condizioni di povertà estrema) La denutrizione colpisce quasi la metà dei bambini minori di cinque anni. Per sfuggire dalla violenza e per ragioni economiche Il 7,6% della popolazione nel 2019 è emigrata, principalmente verso Stati Uniti, Messico, Belize e Canada.

Il sistema scolastico soffre per la scarsa preparazione degli insegnanti, determinando uno dei tassi di analfabetismo più elevati dell’America Centrale, dalle ultime statistiche pari al 18,5% (solo il 61% della popolazione sopra i 15 anni sa leggere e scrivere). In Guatemala, il 13,5% dei bambini e delle bambine fra i 7 e i 14 anni sono considerati “popolazione economicamente attiva”; perché molti di questi minori lavorano per oltre 40 ore settimanali, il che impedisce loro, tra l’altro, di frequentare la scuola. Gli effetti della pandemia stanno aggravando ulteriormente il problema dell’abbandono scolastico.

Come ho già detto, i più poveri sono gli indigeni, che costituiscono gran parte della popolazione che vive nella zona in cui operiamo noi Salesiani. I problemi con cui dobbiamo misurarci quotidianamente sono spesso strutturali e riguardano la dimensione sociale (famiglie con grandi difficoltà economiche ed equilibri famigliari precari per la mancanza di un lavoro stabile; scarsa scolarizzazione; criminalità diffusa che coinvolge spesso i più giovani in varie forme di devianza e dipendenza; mancanza di servizi e ammortizzatori sociali), economica (dipendenza economica da altri Paesi e mercati rende il Guatemala economicamente vulnerabile e instabile), culturale (la globalizzazione fa perdere identità a questo popolo dalle tradizioni culturali ricchissime, che hanno radici profonde nel loro passato spesso glorioso), urbanistica, (in questi ultimi anni si è notato lo spostarsi di grandi masse di popolazione dalle campagne alle periferie delle grandi città, non senza problemi e perdita del senso umano della vita, specialmente nei più piccoli e nei giovani).

Oltre alle difficoltà che dobbiamo gestire ordinariamente, in questi ultimi due anni abbiamo fatto i conti con la Pandemia, che ha colpito anche il Guatemala, causando oltre 500.000 contagiati e più di 13.000 morti secondo i dati ufficiali, anche se nelle aree rurali è praticamente impossibile monitorare la situazione effettiva del contagio.

Se questo non bastasse, nell’ultimo periodo abbiamo affrontato anche gli uragani Eta, Iota e Henri, che hanno colpito in sequenza la nostra zona, provocando ingenti danni e allagando intere aree rimaste sommerse per oltre 2 mesi.

Ma malgrado tutto questo, la “nostra gente” (gli indios Kaqiha) non si è disperata e non è mancata la solidarietà e la voglia di aiutarsi a vicenda per superare l’emergenza.

Purtroppo, questa è gente dimenticata dai mezzi di comunicazione locali e internazionali, ragion per cui spesso è solo la Chiesa a prendersi cura di loro. Il sacerdote, generalmente, viene riconosciuto da loro come un “padre” e, in molti casi, è l’unico che li aiuta quando ci sono le difficoltà o quando si trovano nel bisogno.

Non si tratta di una forma di assistenzialismo, ma di presenza e condivisione.

Non si tratta neppure di uno “spot” a favore dei missionari o dei Salesiani, ma di un approccio all’altro, di un'empatia che non si ferma al sentimentalismo buonista.

Significa avere lo sguardo attento a riconoscere le persone nella prova, i più piccoli e poveri, e non dimenticarli.

Molte delle cose che riusciamo a fare per loro, le possiamo fare grazie al vostro sostegno. Un grazie riconoscente, accompagnato dalla preghiera e dalla benedizione del Cielo, a tutti i benefattori e i donatori che attraverso la Fondazione Opera Don Bosco si “fanno vicini” a noi!».

Guarda la Gallery
Informazioni ai benefattori
Newsletter Iscriviti ora